La pedagogia del sopravvissuto. Canetti, Améry, Bettelheim
Quella del "sopravvivere" è stata, nel Novecento, una chiave culturale preziosa per comprendere il rapporto esistente tra le sedimentazioni antropologiche più arcaiche della nostra specie e le profonde trasformazioni storiche intervenute nel corso della modernità. Se da un lato, infatti, la civiltà del lavoro e della tecnica sembrava aver posto termine al discorso della lotta per la sopravvivenza, con conseguenze assai significative sulla funzione attribuita alla stessa educazione dell'uomo, dall'altro, la questione si è proposta, nel cuore del Novecento, in forme inedite per il tasso di violenza e di barbarie che l'hanno attraversata. A partire dalla fondamentale vicenda storica dello sterminio nazista fino alle più diverse esperienze di catastrofe che caratterizzano la società di massa anche in tempo di pace, il concetto di sopravvivenza si è caricato di nuovi ed inquietanti significati. Il presente volume, mobilitando tre icone esemplari della cultura novecentesca, non a caso provenienti, pur per vie diverse, dal comune sostrato mitteleuropeo, tenta una lettura del problema al di là delle sue rappresentazioni più convenzionali, alimentate, tra l'altro, da un circuito massmediatico che ne fa spesso l'oggetto di una cultura d'evasione, per assumere tale termine, come vuole Canetti, nella sua accezione originaria. "Sopravvivere" significa, infatti, "vivere sopra l'altro", "vivere a scapito dell'altro"...
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