Rituali
«Un’assenza, uno che non esiste»: così si autodefinisce Inni Wintrop, protagonista di Rituali, uomo senza qualità di fine millennio, ironico spettatore di un mondo che sembra sempre più una «fortezza smantellata», rivelando tutto il vuoto su cui è costruito. Osservatore onnivoro, curioso di ogni esperienza, Inni lascia che le cose gli accadano, riservandosi, nel teatro del mondo, il ruolo di «dilettante». Compra e vende quadri, investe in borsa, viaggia, legge, scrive oroscopi, si abbandona allo scorrere degli eventi, alla casualità degli incontri. Come quello con Arnold e Philip Taads, padre e figlio mai conosciutisi fra loro, di cui diventa amico a vent’anni di distanza l’uno dall’altro. All’opposto di Inni, questi cercano di sottrarsi al vortice della vita e del tempo, barricandosi in un solitario e ascetico rifiuto. Ma la maniacale routine di Arnold e il culto della meditazione Zen e della civiltà giapponese di Philip non offrono redenzione all’insensatezza del vivere. In un mondo che ha perso fedi e certezze, i rituali non sono più la via d’accesso alla dimensione del sacro, restano solo un vano tentativo di tenere a bada la paura in attesa della morte. Due sono i quadri che Inni compra e vende nel romanzo: una «Sibilla», quasi emblematica custode dell’enigma dell’universo, e una stampa giapponese Ukiyo-e, quella «pittura del mondo fluttuante» che Nooteboom stesso non fa che offrirci: l’immagine della vita nel suo effimero fluire, in ciò che la rende, se non accettabile, amata.