Wagner colosso imbarazzante, buffone solenne. Dalle barricate al Walhalla. Dalla rivoluzione alla rivelazione
I fruitori dell'opera di Wagner si trovano da sempre sotto la minaccia di tre fuochi: a) vengono frustrati dal pregiudizio "colto", che del resto ha colpito Wagner stesso, tacciato tout court di "dilettantismo" populistico, secondo l'adagio che "l'arte se è per tutti, non è arte"; b) viceversa analogo sgomento destano le iper-semplificazioni dei mass media che, per sedurre i propri "consumatori" di bocca buona, possibilmente giovani, sfornano in stile fast food le delikatessen della melomania; ma soprattutto c) in chi continua a sentirsi irrimediabilmente irretito dal fascino wagneriano, nasce il timore di appartenere, obtorto collo, alla lista nera degli antisemiti, razzisti e fascio-nazisti, o dei loro emuli talebani/tradizionalisti, non meno che in quella dell'endemica misoginia universale, o come oggi si dice eufemisticamente, del pregiudizio di genere. Orbene, va detto che al fondo di tutto ciò c'è da sempre la tendenza tanto degli ammiratori che dei detrattori di Wagner, non escluso lui stesso, a condividere il luogo comune di una fuorviante equazione: genio = grande uomo/artista = faro del progresso "morale" e civile del proprio paese e quindi della "vera" umanità tutta, donde l'imbarazzo, se non lo sdegno, di fronte alle "singolarità" da "buco nero" che costellano il presunto, incontaminato iperuranio "occidentale" dell'arte, e nella fattispecie la figura/opera del colosso wagneriano. In questo libro si prospetta l'ipotesi che la dura "condanna" della figura di Wagner, per quanto legittima sul piano del suo innegabile razzismo antisemita, abbia risentito non poco di un'altrettanta, ma meno giustificata, esecrazione tributatagli, almeno in origine, in quanto veicolo «immorale, ateo, contraddittorio» di eresie decisamente anarchiche e "addirittura" implicitamente femministe.
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