Oltre la globalizzazione. Il bisogno di uguaglianza

Oltre la globalizzazione. Il bisogno di uguaglianza

Come già in almeno altre due crisi globali sviluppatesi nei decenni più recenti (la crisi asiatica del 1997 e quella americana-europea del 2008) anche quella attuale, scaturita dal diffondersi del Covid-19, ha condotto parecchi opinionisti ad interrogarsi sulla fine della globalizzazione economica, a causa del contrarsi delle relazioni economiche mondiali e della tendenza, evidenziatasi in parecchi Paesi (compreso il nostro), verso un pesante ritorno dello Stato nell'economia. Il ritorno al protezionismo statale, o comunque ad un più forte ruolo dello Stato nell'economia, è anche fortemente sospinto dall'aumento globale della povertà e della disuguaglianza nella povertà. È orami assodato, infatti, che la globalizzazione non è benefica per tutti, e se pure conduce ad un aumento della ricchezza complessiva, questa non si redistribuisce equamente. Sul campo rimangono sconfitti (molti) e vincitori (pochi). Al tempo stesso, però, questi fenomeni potrebbero accentuarsi nel caso si aprisse una stagione di forte recessione economica. Se, infatti, i principali produttori di globalizzazione economica, gli Stati Uniti e la Cina, rallenteranno pesantemente la loro crescita economica, allora la domanda sulla fine della globalizzazione potrebbe essere fondata. Ma è davvero così? Davvero possiamo considerare finita l'esperienza della globalizzazione economica "moderna", cioè di quella che gli esperti datano a partire dagli anni Ottanta del Secolo scorso? Davvero dopo questa crisi vi sarà un ritorno a livello globale del protezionismo statale? Oppure, più facilmente, potremmo avere una virata, la terza in pochi decenni, della globalizzazione?
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