La misura del disordine. Miraggi e disincanti nella poesia barocca europea
«Sebbene molti e importanti studi siano stati dedicati alla rivalutazione del Barocco come stagione letteraria, e ancora di recente sedi prestigiose abbiano rilanciato il termine come categoria straordinariamente onnicomprensiva, è facile riscontrare come nell'uso comune, fuori dagli ambiti accademici, il termine continui a essere usato in senso per lo più dispregiativo anche in un'età come quella contemporanea che certo ha fatto i conti, a volte persino in modo liquidatorio, con gli imperativi classicisti. "Barocco" continua a rimandare a un uso del linguaggio inutilmente complesso, ridondante, la cui forma stride con la pochezza del suo significato o eccede in figure retoriche, addensando significati in modo caotico, e superando un limite di decoro non più classicista ma borghese. È forse per questo motivo che la giustificazione preliminare sembra essere ormai un topos di ogni scritto sul barocco, cui nemmeno questa introduzione può sottrarsi. A distanza di alcuni secoli, si può ben dire che l'eco dello scandalo barocco - la sfida che lanciò nei confronti dell'armonia rinascimentale o forse la reazione alla sua irrigidita convenzionalità - non è dunque svanita. Il «Barocco» continua a portare inscritta in sé la colpa dell'infrazione di una norma o di una implicita misura o simmetria, quasi si fosse dimenticato come quella sfida fosse la risposta particolare elaborata dinanzi a quel profondo cambiamento di paradigma religioso e scientifico, intervenuto tra Cinque e Seicento, da cui è scaturita la nostra modernità. Un passaggio complesso, segnato da antinomie e convergenze, in cui, come ha sottolineato Francesco Orlando, le propaggini dell'estenuazione barocca toccano i prodromi dell'illuminismo, come suggestivamente suggerisce il fatto che Bacone e Góngora nascano nello stesso anno, e così Galilei e Shakespeare, mentre poco distanti sono i natali di Descartes e di Calderón. Tutte figure di scienziati, filosofi e poeti che in modo diverso contribuiscono alla doppia spinta che anima e tiene sotto scacco il periodo: un moto centrifugo ed euforico di curiosità ed entusiasmo per il mondo nuovo che si stava configurando, e un moto centripeto e disforico che rimugina sull'ordine perduto, elabora il lutto della sua evanescenza e ne sfigura ulteriormente la rappresentazione, anatomizzando l'intero un tempo garantito dal divino e creando figure contorte, frammentate, solo apparentemente caotiche, regolate da leggi la cui codifica non è semplice né immediata...». (Carmen Gallo)
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