Tra i cacciatori di teste
Giovanni Battista Cerruti partì da Varazze e finì per diventare imperatore dei Sakai della Malesia, venerato come un dio. Fu scopritore di miniere, agente di commercio senza senso per gli affari, naturalista improvvisato; le sue esplorazioni del Sud-Est asiatico alla fine dell'Ottocento sfumano tra la cronaca e la leggenda. In "Tra i cacciatori di teste" Cerruti fa il suo ingresso clandestino nell'isola di Nias, al largo di Sumatra, attrezzato di una bella scorta di tabacco che risulterà preziosissimo nei negoziati, in una terra dove il rango sociale si misura in maiali posseduti e in crani umani appesi alla propria capanna. Per attraversare la giungla deve mettere in gioco tutta la diplomazia di cui è capace, aiutato dall'inaspettata affinità tra la lingua dei popoli Nias e il dialetto savonese e da una bottiglia di whisky che gli vale lo status di sciamano. Gli indigeni, feroci con i nemici, superstiziosi oltre ogni dire ma capaci della gratitudine e dell'accoglienza più commoventi, sono raccontati con rispetto da Cerruti; il quale, se non era un letterato, era di certo un narratore, in grado di costruire la tensione e poi di scioglierla con una gran risata.
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