Chilometro 9
Salvina. Una donna di ottantasei anni. Un ictus che la condanna ad una paralisi permanente e che la priva della sua lucidità ragionativa. Il ritorno a casa dopo giorni di degenza ospedaliera. Con lei la figlia quasi cinquantenne, arresa dinanzi a una evidenza che esige solo di essere accettata: sua madre non potrà più riconoscerla. Due identità frantumate. Una relazione attraversata da irrisolte conflittualità che ora, e solo ora, nello spazio bianco della non riconoscibilità, può attingere nuovo senso. Da qui, da questa intuizione prende l'avvio il romanzo. Intuizione e urgenza di una figlia, venuta al mondo tardi, ultima di una lunga catena di parti, che decide di ripercorrere, come dentro un cerchio salvifico, l'esistenza di sua madre. Dall'infanzia, incisa negli anni difficili della prima guerra, alla sua stessa nascita nel 1962. Sarà il compimento di una trasfusione insperata. "Ti do la mia voce", le dice in apertura.