Il Livio di Machiavelli. L'uso politico delle fonti
Troppo disorganici per essere un trattato politico, troppo frammentari per essere un'opera storica, i Discorsi mettono da sempre a disagio chi voglia inquadrarne il genere. Inoltre, l'impossibilità di risalire al manoscritto di Livio presente sullo scrittoio di Machiavelli ha reso piú complicata la definizione di un puntuale confronto tra i due, spesso risolto in piú generali riflessioni su Machiavelli e la storia antica. Le decadi liviane non sono, però, una fonte tra le altre dell'elaborazione machiavelliana, ma rappresentano il terreno decisivo per la definizione di un metodo che tiene costantemente insieme politica e storia («lunga esperienza delle cose moderne» e «continua lezione delle antiche»). Con questa convinzione, il presente studio ricostruisce le vicende che - nel solco dell'Umanesimo - avevano imposto la canonizzazione degli Ab urbe condita, cosí da restituire l'orizzonte entro il quale era maturata la lettura di Machiavelli, fornendo poi di questa un'analisi tipologica attraverso l'esame di citazioni, traduzioni e riscritture. Le puntuali indagini sul testo consentono di mettere a fuoco gli strumenti con cui l'autore dei Discorsi, inserendosi in una tradizione consolidata (quella che faceva di Roma la misura di ogni tempo storico), prova a fare i conti con la radicale, tragica novità rappresentata dalle Guerre d'Italia. Se la frattura con il passato è irrisarcibile, non basta piú conoscere la storia antica per capire quella contemporanea: Machiavelli, dunque, forza i testi che legge perché rispondano alle sollecitazioni imposte dalle urgenze del presente, tramite quello che qui si propone di chiamare "uso politico delle fonti".