«Gente malfida». La critica degli intellettuali nella cultura di destra (1789-1925)
Anche se nel corso del Novecento non sono mai mancati intellettuali collocati a destra, questa ha sempre manifestato un vero e proprio rifiuto, o comunque un atteggiamento di sospetto nei confronti della figura dell’intellettuale. Cosa, del resto, presente anche nelle destre attuali. Il volume indaga le origini storiche dell’atteggiamento della destra nei confronti degli intellettuali. Questi sono stati sempre visti come l’espressione della cultura dell’Illuminismo, nonché come i difensori dei diritti dell’uomo, essendo legati ai valori del cosmopolitismo e della ragione, accusata di produrre astrazioni. L’ostilità nei confronti degli intellettuali è già visibile nel corso della Rivoluzione francese con le polemiche di Edmund Burke e Joseph de Maistre. Tuttavia, essa si manifesta in modo molto più evidente negli anni dell’Affaire Dreyfus quando, in contrapposizione agli intellettuali come Zola impegnati nella battaglia affinché fosse riconosciuta l’innocenza dell’ufficiale di origine ebraica, la destra antipluralista, con scrittori come Maurice Barrès e Charles Maurras, promuove la figura dell’“intellettuale nazionalizzato”, fermo custode dei valori della nazione. Questa figura si riproduce anche negli scrittori tedeschi del primo dopoguerra, dal Thomas Mann delle Considerazioni di un impolitico allo Spengler del Tramonto dell’Occidente. La parabola dell’intellettuale nazionalizzato, figura peraltro molto diffusa nel corso della Grande Guerra, pone capo a quella dell’intellettuale del totalitarismo, la cui origine è da rintracciare nel Manifesto degli intellettuali fascisti, promosso da Giovanni Gentile nel 1925.
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