Morti senza sepoltura. Tra processi migratori e narrativa neocloniale
"Migranti economici" o "migranti politici"? Queste classificazioni ciniche e strumentali, forgiate nei laboratori di tanta sociologia etnocentrica di stampo neopositivista, e adottate acriticamente da leader istituzionali, hanno finito col costruire l'immaginario con il quale si tende a percepire il fenomeno migratorio. In questo loro lavoro, i due autori provano a scardinarlo, introducendo un altro "tipo" di immigrati-emigrati, quelli morti, ritenendo che uno degli indicatori fondamentali e più affidabili con cui misurare la civiltà degli Stati d'accoglienza sia la sepoltura che essi riservano agli stranieri. Alternando il materiale al simbolico, la ricerca etnografica all'analisi socio-culturale del romanzo neocoloniale italiano, il libro analizza le migrazioni e la causa storica che le produce e riproduce, il colonialismo, a partire dal lungo corteo di morti che lasciano al loro passaggio, da Majid E. K., morto a causa di un incidente mentre era trattenuto al Centro di identificazione ed espulsione di Gradisca d'Isonzo all'eritrea Zeb'hí Tanqualít de "Il tempo delle iene" di Carlo Lucarelli, dai defunti nel mar Mediterraneo alla ragazza etiope senza nome de "I fantasmi dell'Impero" di Marco Consentino, Domenico Dodaro e Luigi Panella. Come scrive Abdelmalek Sayad, nel saggio inedito in appendice: "La morte in immigrazione e in esilio è un momento di verità, la morte dello straniero e la morte in terra straniera è un momento di verità per tutti".
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