Per una educazione liberale dei manager nell'era digitale
In un mondo che cambia così vorticosamente e in modo imprevedibile, dove la complessità del reale ha piegato molte discipline ed è diventata lei stessa disciplina, dove la tecnologia - sempre più potente e invasiva - rischia di scappare di mano, dove i dati e l'intelligenza artificiale stanno trasformando i processi decisionali nella loro essenza, servono - soprattutto per la classe dirigente - nuove competenze. Non tanto quelle hard, codificate e sempre più dominio delle macchine, ma quelle soft, proprie dell'umano. Ma sono davvero "nuove" competenze? A ben guardare, i leader di successo hanno sempre fatto appello - ciascuno con il suo stile e in funzione di quanto richiedeva il contesto - alle arti liberali. Quelle arti liberali fondamento della cultura umanistica, le uniche in grado di attrezzarci per padroneggiare un mondo sempre più complesso e pervaso dalla tecnologia e agirvi con efficacia e consapevolezza. Quelle competenze che ci rendono pienamente umani e che si basano sulla cultura classica, sulla conoscenza dell'uomo (dalla psicologia alla neuroscienza), sull'agilità interdisciplinare, sul pensiero critico.
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