Antigone tradita. Una contraddizione della modernità: libertà e stato nazionale
Quando, nel 1788, Hegel legge e traduce in tedesco l'"Antigone" di Sofocle, l'immortale infelice eroina della lotta per la giustizia universale contro l'ottusa brutalità del potere provoca in lui un vero innamoramento: il fuoco della libertà che aveva travolto Antigone, infatti, era stato il medesimo che aveva bruciato nel suo cuore di diciottenne. Quel fuoco sembrava destinato a fare di Hegel il filosofo di un mondo libero, un mondo di cui Hölderlin era il cantore, illuminato dall'amore e dalla bellezza. Le cose però non andarono così. Prima ancora dei trent'anni, in Hegel iniziano a insinuarsi i dubbi, i sogni di gloria assumono una configurazione più realistica, e il giovane che aveva amato celebrare, con Hölderlin e Schelling, gli anniversari della Rivoluzione francese, comincia a trasformarsi nell'oculato amministratore di un lento ma sicuro successo. Approssimandosi ai quarant'anni, Hegel approfondisce e articola le sue ricerche sullo Spirito, il "Geist". Quando inizia la scrittura dell'epopea del mondo moderno, la "Fenomenologia dello spirito", è ancora innamorato di Antigone. Ma ogni pagina dell'opera è un passo che lo allontana da lei: quello che avrebbe potuto essere una sorta di Inno alla gioia, il trionfo della libertà, diventa a poco a poco l'iter amministrativo di consacrazione definitiva del potere.
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