Angeli nel cielo di Auschwitz
Dopo "Zara l'ultima estate" (2018) Visconti si ripresenta sugli scaffali con un secondo lavoro, sempre con una vicenda ambientata nel secondo conflitto mondiale ma dall'atmosfera assai diversa e su di un argomento, la Shoah, di per sé arduo da affrontare e che ha già prodotto una letteratura copiosissima e di alto livello, tale da scoraggiare nuove "incursioni" sull'argomento. Ma l'autore ci spiega, con le parole della postfazione, di aver sentito la necessità di portare il proprio contributo alla formazione dell'unico possibile sistema immunitario contro le atrocità di quell'immane genocidio: tener vivo il ricordo di ciò che fu e che non dovrà mai più ripetersi. La struttura del lavoro è simile a quella di "Zara" ed è costituita dalla narrazione di una vicenda frutto della fantasia dell'autore calata in un contesto reale, quello del campo di lavoro di Monowitz (dove fu internato Primo Levi), che faceva parte del comprensorio di Auschwitz. Qui non c'è posto, ovviamente, per gli slanci lirici o per i momenti di spensierata e giovanile gaiezza che troviamo in "Zara". In "Angeli", per contro, Visconti costruisce una trama confinata nell'angusto spazio del campo di lavoro, la cui atmosfera risulta quasi "schiacciata" da una quotidianità fatta di sofferenza e di morte. L'autore si sofferma a lungo, a più riprese, sul divenire della lacerazione psicologica, delle titubanze, dei confronti serrati tra le due giovani protagoniste in ordine alle domande che da sempre si è posto l'uomo sull'esistenza di una vita post mortem.