Sogni di tregua
Esule vagabondo / malinconico ma ardito / con un bagaglio di racconti di guerra e dolore, così si descrive in una delle sue poesie Basir, rifugiato politico in Italia da alcuni anni. Questi versi sono la sua vita e la strada che lo ha portato dall'Afghanistan al nostro paese, una strada lungo la quale il poeta lascia un canto d'amore verso il suo popolo, quello della minoranza Hazara, perseguitata sin dai tempi dell'Impero Ottomano, sì, perché l'arrivo dell'ISIS, che tanto ci viene propinato dai mass-media, è soltanto l'ultima piccola fetta di una ben più grande torta su cui i potenti ringhiano e sbavano. Poesia a tratti dolce e amara che arriva da una cultura di chi ancora parla e scrive il farsi. Spesso crediamo di sapere ormai tutto sull'Afghanistan, ma ci sbagliamo, basta leggere i versi di Basir per conoscere parte di ciò che non ci viene detto: di famiglie smembrate e divise; di Bamiyan, Kapisa e Kabul; di uomini donne e bambini obbligati ad offrire il proprio corpo al mare; di studenti assassinati; di persone schiavizzate; di persone che sognano come sogniamo noi; di bambini che nel silenzio generale muoiono anche nei nostri confini. E il sogno più grande è la libertà.
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