O cattolici col papa o barbari col socialismo. L'antisocialismo in Italia (1849-1899)
Ricomposta la frattura operata dalla Rivoluzione francese, la Chiesa ritiene che nessun atto debba più essere omesso per la sua salvaguardia e per combattere e reprimere ogni manifestazione del pensiero moderno. L'accentramento politico e dottrinale di Pio IX, prima, e di Leone XIII, poi, non fa che irrigidire l'atteggiamento della Chiesa verso la modernità e sancirne in maniera inequivocabile l'assoluta incompatibilità. Soprattutto contro il socialismo e il comunismo essa conduce una battaglia aspra e violenta, alimentata dal timore di perdere la propria leadership all'interno del Paese. Duri attacchi sono mossi non solo dai rappresentanti dell'intransigentismo cattolico, ma anche da esponenti del cattolicesimo transigente. Ogni contrapposizione tra temporalisti e sostenitori della rinuncia del potere temporale del papa, ogni disputa dottrinale tra tomisti e rosminiani, ogni divisione tra oppositori e fautori della conciliazione tra Stato e Chiesa sembrano scomparire di fronte a quella che viene ormai considerata l'ultima "perversione" della modernità, il nuovo nemico, esterno, la cui minaccia è tale da indurre tutti, indistintamente, a unire le proprie forze per combatterlo. L'atteggiamento antisocialista diviene così, nella seconda metà dell'Ottocento, il punto di coagulo dell'azione dei cattolici, caratterizzata da una critica sempre più virulenta nei confronti del socialismo e di una, invece, sempre più stemperata verso il sistema capitalistico.
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