Gesualdo Bufalino e la tradizione dell'elzeviro

Gesualdo Bufalino e la tradizione dell'elzeviro

Si dice elzevirismo e subito si pensa al prezioso laboratorio formale di matrice rondesca, allo scintillante calligrafismo di un Antonio Baldini, di un Bruno Barilli, di un Emilio Cecchi. La tradizione dell'elzeviro non si lascia rinchiudere, però, nel perimetro esclusivo della "prosa d'arte" degli anni Venti e Trenta. Il caso di Gesualdo Bufalino, allo scadere del secolo scorso, dimostra retrospettivamente (un po' come Gadda con l'espressionismo scapigliato nell'interpretazione di Contini) che quella lezione non era così effimera e autoreferenziale quanto s'è voluto credere: attiva nello scrittore siciliano già nelle fasi più remote della sua sofisticata "anagrafe" intellettuale e contaminandosi, via via, con infiniti altri pimenti culturali, essa ha contribuito - nel saggista, nell'autore di aforismi, nel narratore - alla nascita d'uno stile «insieme esuberante e contratto», di un "tono" inconfondibile, fantasioso, ironico, brillantemente iperletterario, inquieto e pensoso. Nel volume curato dal prof. Nunzio Zago ne trattano: Massimo Onofri, Gino Ruozzi, Raffaello Palumbo Mosca, Francesca Caputo, Andrea Manganaro, Massimo Schilirò, Giuseppe Traina, Emanuele Cutinelli Rendina, Giancarlo Alfano e Marina Paino.
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