Ti chiamavo solo per nome

Ti chiamavo solo per nome

Daiane è una bambina che di case ne ha già cambiate cinque. A volte si arresta e preme le sue dita minute contro la vetrata, celando in cuor suo d'incontrare la madre, che con uno sconosciuto è partita per l'Italia. Eppure, solo pochi anni or sono, si ricorda d'aver parlato con le sue amiche lumache, riposte dentro il congelatore e d'aver spezzato gli arti alle bambole, per far subito pace. Odiava litigare. C'erano già i suoi pronti ad accoltellarsi, allora, il fragile equilibrio si spezzava, tanto da voler usare l'arma per difendere Rosy, la madre, da quell'uomo oscuro di Mattey. Lui, carpentiere, per il pungente gelo beveva, mentre guardava la città, dagli altopiani dei palazzi di Kalsruhe. Così giustificava lo sfociare dell'inaudita violenza. Daiane assiste ai drammi quotidiani. Risponde alle domande inquisitorie dei poliziotti. Un rifugio sicuro dal mondo crudele lo trova ballando nel salotto. Evita il confronto con strani personaggi delle compagnie estive. Mentre la madre apre il suo negozio di coiffeur e i vicini commentano sull'inconcepibilità del loro vivere lontane dal capo famiglia, la fragile parvenza di tranquillità regna sintantoché, la scoperta del denaro nascosto in una scatola di latta dissacra quell'angolo romantico di mare. Le note dolenti sono infinite, infangate da una società che giudica. Siamo negli anni '70, e l'orgoglio femminile va represso. Per Rosy è un'opinione indigesta. Anche Daiane porta con sé il ricordo della realtà vissuta...
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