I rifugi della memoria

I rifugi della memoria

José Luis Cancho aveva 22 anni quando quattro poliziotti della Brigata Politica-Sociale lo scaraventarono da una finestra del commissariato di Valladolid. Era la mattina del 18 gennaio 1974. «Mi hanno buttato giù perché credevano di avermi ammazzato. Il fatto strano è che non solo non mi avevano ammazzato, ma non mi hanno ammazzato nemmeno buttandomi giù», racconterà in un'intervista. Passò sei mesi a letto, un anno con le stampelle e due in prigione. Da questa esperienza estrema parte la narrazione, compressa in poche e sorprendenti pagine, scritte in modo succinto, delicato, diretto e coraggioso. Una vicenda autobiografica dove l'autore fa i conti con il suo passato e il suo presente, senza costruire né un eroe, né tantomeno un antieroe. Uno sguardo che ripercorre la sua prima gioventù, la prigione e la sua ombra lunga, la lotta politica, l'insegnamento, i viaggi, le letture, la solitudine, le amicizie e che trova rifugio nell'infanzia, luogo al quale torniamo sempre, e nella scrittura, dove tutto sembra acquisire un significato.
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Recensione del libro fornita da lottavo.it

Di Martino Ciano

Come detto, il libro di Cancho non è un’autobiografia nel senso stretto del termine, ma è un’opera che sinteticamente si annuncia come una pacifica resa dei conti. Sono pagine che scaturiscono da quella saggia inquietudine partorita dalla pace dei sensi. Infatti, sullo sfondo, resta sempre quella sensazione di nostalgia, che sa diventare cinica, come Céline ha saputo insegnare a pletore di scrittori e di attenti lettori...

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