Il cibo dei morti
Il cibo dei morti ci mostra dapprima un'infanzia felice, un Eden contadino ai confini della steppa, ma la fine dell'età dell'innocenza scaraventerà il protagonista in una serie di avventure picaresche: un cerchio infernale che passa attraverso gli amori senza speranza delle prostitute, l'esperienza della milizia, il contrabbando di diamanti, fino a tornare all'infanzia, al dolore, alla morte. Su tutto aleggia il fantasma di un figlio forse perduto: una specie di ultima, innocente crudeltà della vita, un'agghiacciante risata bambina che tutto pervade. La narrazione, di ispirazione autobiografica, si inabissa di continuo in una corrente sotterranea traboccante di storie e verità nascoste. In questo romanzo, morte, sesso e decomposizione ci lanciano addosso la loro beffarda risata come in un Rabelais postmoderno. La voce del cantastorie dietro al Cibo dei morti non parla: singhiozza, ringhia, scatarra. E se il riferimento iniziale è il Dostoevskij delle Memorie del sottosuolo, ben presto si viene inghiottiti dalla crudezza di un Céline, irretiti da un linguaggio che scava nel dolore e nella sporcizia umana senza il minimo pudore ma con una bellezza inusitata di sintassi e ritmi.
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