Modernità visuale nei «Promessi Sposi». Romanzo e fantasmagoria da Manzoni a Bellocchio

Modernità visuale nei «Promessi Sposi». Romanzo e fantasmagoria da Manzoni a Bellocchio

È assai frequente, negli studi sui Promessi Sposi, il paragone con il cinema. Si fa spesso ricorso, per spiegare l'arte manzoniana della narrazione, a termini quali "sequenza", "inquadratura", "montaggio", tanto più a proposito quando al centro dell'attenzione è l'edizione del romanzo illustrata da Gonin. La suggestione emanata da questo tipo di paralleli non deve tuttavia far dimenticare il loro fondamentale anacronismo, poiché l'esperienza di Manzoni si svolge tutta nell'epoca definita "precinematografica". Anche quest'etichetta, in realtà - come ampiamente dimostrato dagli studi di cultura visuale, - è oltremodo generica e imprecisa, nello sforzo di unificare una congerie di dispositivi visuali estremamente variegata e soprattutto meritevole di considerazione autonoma. Gli studiosi sono infatti sempre più concordi nel retrodatare la grande rivoluzione moderna della visione ai primi decenni dell'Ottocento, anteriormente dunque all'invenzione della fotografia e del cinema, all'epoca in cui appaiono spettacoli popolari come la fantasmagoria e il panorama, a loro volta all'origine di imitazioni e varianti sino almeno alla fine del secolo. Gli studi sulla cultura visuale dei Promessi Sposi si sono sinora concentrati sulle ascendenze nella cultura "alta", soprattutto a riguardo del naturale legame con il Seicento, trascurando quelle radicate nella cultura popolare e più prossime cronologicamente. In questo saggio si porta per la prima volta all'attenzione la presenza della nuova cultura visuale ottocentesca nella tessitura intermediale del romanzo manzoniano, anche in rapporto all'impianto multimediale che il testo compone con le «vignette» dell'edizione illustrata. Altre indicazioni sono ricavate sfruttando la funzione "retroattiva" della ricezione, ovvero la sua capacità di suscitare nuove letture del testo-fonte, tanto in chiave intertestuale quanto con riferimento alle trasposizioni. Da questo gioco di andirivieni critici emergono con chiarezza alcune costanti: la diffidenza di Manzoni nei confronti di tecnologie della visione "immersive" come la fantasmagoria e, al contrario, l'affinità sentita e praticata (soprattutto nell'edizione illustrata dei Promessi Sposi) con il peculiare realismo dei dispositivi panoramatici. Viste da questa prospettiva, le interferenze con la nuova visualità ottocentesca restituiscono l'inimitabile impasto di aderenza alle cose e distacco ironico che è la cifra della prosa manzoniana.
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