Vinta la guerra persa la pace. Dagli specchi di Versailles agli scontri nella Repubblica di Weimar, alla dannunziana «Fiume d'Italia»
La Conferenza di Parigi, che si concluse con i trattati di di pace di Versailles (con la Germania) di Saint-Germain-en-Laye (con l'Austria), del Trianon (con l'Ungheria), di Neuilly (con la Bulgaria) e di Sèvres (con l'Impero Ottomano), avrebbe dovuto garantire decenni, se con secoli di armoniosa convivenza. Produsse invece una pace vendicativa, una sorta di colossale resa dei conti fra Parigi e Berlino, con l'assenso di Londra e l'insulsa acquiescenza del parvenu americano, nella persona del vanitoso presidente Wilson. E l'Italia vittoriosa? Alla fine non riuscì ad ottenere quasi nulla, anzi: ottenne la crisi del governo Orlando e la nascita del gabinetto Nitti. Non solo, vide preoccupata lo scatenarsi delle piazze che lamentavano la "vittoria mutilata", proclamata da D'Annunzio, il quale infine marciò da Ronchi di Monfalcone su Fiume, occupandola fino al "Natale di sangue" del 1920. Nel paese scoppiarono proteste sociali, con i reduci delusi da una patria che li aveva abbandonati. Nel continente la pace parigina fu incubatoio del revanscismo e del nazionalismo, che sfociarono in seguito nel nazional-socialismo tedesco. In Italia iniziò anche il culto della memoria dei caduti in quella tragedia collettiva che fu la guerra.