Judas Priest: heavy metal messiah
Forse non è mai esistita nessuna band al mondo a cui l'aggettivo "messianico" possa essere attribuito con altrettanta pertinenza dei Judas Priest. Dalla metà degli anni Settanta in poi, hanno assunto il ruolo di profeti del credo metallico, di sommi sacerdoti di quella religione moderna - metà pagana e metà millenarista - che è la musica heavy metal, portandone i comandamenti tra i fedeli e dettando i confini del credo. Una band che si è trovata spesso nella posizione di recitare un ruolo scomodo e mai abbastanza indagato dalla critica musicale. Profeti del metal e "cattivi soggetti" al di fuori anche di qualsiasi mitologia ribellistica istituzionalizzata (quella di un James Dean o di un Jim Morrison), ovvero accettata dalla società in quanto funzionale alla dialettica del sistema. Ed è stato proprio questo ad aver generato negli anni l'isolamento della cultura metal, la sua ghettizzazione, nel tentativo disperato di impedirne il dilagare. All'interno di questo vastissimo ghetto, i Judas Priest ne sono stati i leader più coerenti e credibili. L'autore Marco Priulla indaga a fondo sui contenuti più profondi ed inquietanti dell'orizzonte lirico e visionario dei Judas Priest, legandone i concetti in un'unica trama che si addossa il compito anche di rileggere lo scenario esistenziale e generazionale che ha prodotto il culto dell'heavy metal dagli anni Settanta in poi, creando un effetto tanto possente da avvicinarlo ad un poema.
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