Il ragazzo selvaggio
Nel 1798, in Alvernia, tre cacciatori catturarono un ragazzo cresciuto in solitudine tra i boschi; qualche tempo più tardi il giovane fu condotto a Parigi. I curiosi della capitale si accalcarono al suo arrivo; credevano di incontrare il Buon Selvaggio di Rousseau; videro un essere in preda alle convulsioni, che mordeva e graffiava chiunque gli si avvicinasse e amava giacere in mezzo ai suoi escrementi. Sarebbe finito nel ricovero degli idioti, se un giovane medico, Jean Itard, non avesse ottenuto di tentarne l'educazione. Nel 1801 e nel 1807 Itard scrisse, su questo tentativo, due relazioni, raccolte in questo volume, che sono tra i testi più affascinanti della psicologia e della pedagogia di tutti i tempi. Nella prima relazione, Itard celebra il lavorio della Civiltà che, attraverso nuovi bisogni, crea nuove idee, con un'enfasi che nella seconda si va smorzando e si spegne. Le certezze dell'educatore vengono incrinate dalle resistenze insormontabili che il suo programma educativo incontra, e dall'ostinato rimpianto che il Selvaggio sembra nutrire per i boschi. Sino a che punto la Civiltà è d'aiuto alla felicità individuale? Questa e altre domande non meno radicali sfiorano pagine in cui si riflette la timidezza, e quasi il rossore, di una nuova scienza: quella dell'uomo.