Taccuini
“Solo nei taccuini, ed è allora che diventano strumento essenziale di conoscenza del personaggio Blok, egli seppe esprimere con assoluta lucidità il suo anticonformismo nei confronti delle mode e dei miti del suo tempo e anche suoi personali. Solo qui troviamo certe sue perplessità sul proprio «misticismo», su opere sue e di altri, su fatti, su avvenimenti letterari unanimemente «consacrati». Solo qui, e con quale fredda perspicacia, troviamo una secca condanna dei bolscevichi, allora solo all’inizio della loro ascesa: avvelenano la vita, dice, è un fatto. Una frase brevissima buttata là fra tante altre, futili, occasionali. E in questo senso sono altrettanto illuminanti le note prese durante gli interrogatori dei ministri zaristi (Blok era segretario della Commissione straordinaria d’inchiesta nel 1917): dove, prima delle responsabilità politiche, vengono viste le fragilità, le meschinità umane, la tronfia cecità di fronte alla storia che stava tutto (almeno quel tutto che riguardava lo zarismo) schiacciando. I taccuini sono soprattutto la traccia più chiara di un processo irreversibile: l’avanzare della toska, della fatica di vivere, con i vagabondaggi di bettola in bettola, tra un’ubriacatura e un’interminabile camminata senza meta, tra un fermo proposito di ricominciare da capo e una ricaduta ancora più disperata. Qualche critico assicura che si trattava solo di incostanza di umore: ed è invece il lento cammino, registrato con sconcertante lucidità, di un uomo, tragicamente solo e tragicamente indifeso, verso la morte.” (Dallo scritto di Fausto Malcovati)