Sguardo sulla vita
«Cara Lou, tu sai e comprendi; potessi per un secondo vedere con i tuoi occhi, come credo tu veda, essere l'Altro che riconosce», scriveva Rainer Maria Rilke da Parigi il 26 giugno 1914, auspicando per sé quanto il pensiero dell'amica praticava per virtù innata: quel movimento dall'Io all'Altro che ricongiunge l'Erlebnis, l'esperienza interiore, con una sua più vasta comprensione. Da un simile movimento deriva, a ben vedere, anche la peculiare difficoltà della sua scrittura che, sprezzando i confini dei generi letterari, muove dal registro teorico all'evocazione lirica, dalla prosa narrativa a quella saggistica, assecondando un'intertestualità che è innanzi tutto prassi ermeneutica, un infinito rilanciare l'atto della comprensione. Così, scrivere di sé significa, al contempo, scrivere dell'Altro; così, scrivere dell'Altro significa, al contempo, scrivere di sé, trasformando la distanza - cruciale parola nel lessico di Andreas-Salomé - in un'inedita vicinanza. Nel solco di un simile, periglioso movimento fra polarità opposte si dischiude lo «sguardo sulla vita» di un'autobiografia dalla forma quanto mai insolita, a priori inconclusa, radicalmente sperimentale nel suo sforzo di attingere alla comprensione ovvero alla verità. [...] Ciò che la scrittura di sé intraprende in queste pagine autobiografiche, scritte perlopiù fra il 1931 e il 1932, è dunque meno un viaggio a ritroso attraverso i ricordi personali, che non una rappresentazione dei medesimi affinché, nel loro disegno, si possa ricomporre una immagine fondamentale della Vita. (Dallo scritto di Amelia Valtolina)
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