Montesole. La strage di Marzabotto
Questo di Romano Gualdi, per tante immagini, è un paesaggio che vuole raccontare una storia di vita e di morte, attraverso gli oggetti, gli alberi, le case, fotografati con l'occhio di chi intende fissare nella memoria soprattutto una vicenda che vi si svolse, un'accumulazione secolare di cose via via inventate, sovrapposte, usate; di persistenza e di modificazioni dell'ambiente naturale; ma che non avessero ancora toccato i limiti più alti dell'ingiustizia, del massacro, del disumano; limiti che stanno, infatti, sottintesi, nell'ombra e che invece debbono essere ricordati, pure con una sorta di rifiuto dell'immaginazione. Questo è, quindi, un paesaggio popolato anche dall'assenza, da un orrore nascosto. Il racconto, cosi, procede per allusione, non per imposizione. Il velo nero della morte non vuole sostituire la realtà della vita. Il formato quadrato della macchina fotografica, l'Hassenblad, apre una finestra implacabile sopra un itinerario di luoghi talora minuscoli. Ogni luogo, uno, dieci, cento assassini. Eppure è un lavoro che, per la precisione della documentazione, può servire, oltre che alla storia della guerra, alla storia dell'architettura, dell'urbanistica, dell'antropologia, della botanica, della geologia.
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