Liszt
Contro Franz Liszt si è detto parecchio e assai si corre il rischio di ridire. Che egli si sia guadagnato l'immortalità, come assicura, bontà sua, Charles Rosen, non toglie che un pezzo di questa immortalità scaturisca dalla resistenza delle vecchie accuse. La critica, spesso poco longanime quando si tratta di 'pesare' un fenomeno recente, ha avuto tutto il tempo di 'soppesare' l'antico - e di ricredersi; e così di Liszt ha spesso finito per apprezzare proprio ciò che, in un primo tempo, aveva respinto. Gli annosi rimproveri sopravvivono mutati di segno. Consideriamo il linguaggio (musicale). Disordinato, zeppo di modulazioni acri, chiassose, di armonie incorrette e arroganti, secondo i primi commentatori; pionieristico e già così ardito negli anni giovanili (si consideri l'utilizzo di scale esafoniche, ottatoniche, tutto il bagaglio dell'etnico e del popolare), ammiccando ambiguamente alla musica slava, trascinando precocemente il discorso fuori della tonalità, si rileva oggi.
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