Malattie infantili di Anselmo Secòs

Malattie infantili di Anselmo Secòs

La letteratura occidentale degli ultimi due secoli ha guardato spesso con attenzione e simpatia alla figura del diverso, dello strambo, dell'inetto. Se Anselmo Secòs, il bambino e l'adolescente protagonista di questo romanzo, è imparentato a più di un personaggio della narrativa otto e novecentesca (da Flaubert a Gogol', da Hasek a Robert Walser, da Cechov a Svevo, Tozzi e Pirandello), lo è però in modo tutto suo: la difficoltà a riconoscersi nei propri "simili" umani si accompagna in lui ad una naturale, fortissima spinta a sentirsi fratello di tutti i "nonumani" (animali, vegetali, oggetti solo apparentemente inanimati); la perdita di senso propria della modernità è compensata in lui dall'acquisizione di un senso più alto (più universale e metafisico) che lo rende inquietante e, in qualche modo, profetico. La sua diversità (che il mondo interpreta ormai solo come malattia) è in realtà costitutiva e quindi inguaribile: se per la levatrice, che lo vede nascere, Anselmo è un "mostro", se per il medico che lo visita "ha tratti psicotici evidenti" e per il prete è un indemoniato, per l'astrologa la costellazione dei Gemelli ha deciso di farne il proprio doppio sulla Terra. In realtà Anselmo Secòs, armato della sua mitezza e forte della propria assoluta debolezza, è "cosa da soffitta", "cosa che sta senza disturbare", segno di contraddizione per chi lo incontra; in una parola, è, forse, il Poeta.
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