L' isola del tesoro
Nella storia della letteratura davvero pochi libri sono famosi come questo. Nel titolo si nasconde un tesoro, lo si immagina, ma non lo si vede; per trovarlo bisogna scavare nelle pagine e cercare nel fondo. Esiste un mistero che Stevenson ambienta tra la Gran Bretagna e il mar dei Caraibi, una trama raccontata usando una mappa, una storia collocata sopra un’isola infestata da pirati, tra polvere da sparo, dobloni, rum e sterminata fantasia. Un’opera capace di ‘formare’ il genere avventuroso, una giungla letteraria dove il vecchio Billy Bones, l’impavido Jim Hawkins, il sanguinario Long John Silver, l’abbandonato Gunn, il capitano Smollett o il capitano Flint non sono soltanto personaggi, bensì maschere senza tempo. L’Hispaniola naviga a vele spiegate verso un tesoro, portando con sé intere generazioni di lettori affascinate dall’esoticità e dai continui colpi di scena. Manganelli definisce L’isola del tesoro come “il poema della vitalità, tenero e sempre di un’esattezza, di una lucidità allucinante: ma senza paura, e senza istrionismi”; Tabucchi lo ama “perché è pieno di vento, di immaginazione, di avventura, di infanzia”; Borges sostiene, perfino, che leggere Stevenson sia una vera e propria forma di felicità. Un’opera dalle profonde implicazioni viscerali tali da far scrivere allo stesso Stevenson: “Nonostante tutto il mio romanzo, sono poi un realista, un prosatore e un fanatico ammiratore delle nude sensazioni fisiche restituite con esplicita chiarezza”. In appendice: "Due chiacchiere sul romance" di R.L. Stevenson, "L'arte del romanzo" di H. James, "Un'umile rimostranza" di R.L. Stevenson.
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