Glauco, dio «in erba». Da Publio Ovidio Nasone a Ercole Luigi Morselli
Fu ad Ancona, fra le barche del porto di quella città, che Ercole Luigi Morselli rimase folgorato dall'idea di comporre il suo Glauco: ad accendergli l'ispirazione fu un prolungato e fascinoso dialogo con un pescatore, colto mentre ripeteva i gesti rituali che accompagnano da millenni la sfida alle creature del mare e mentre nutriva le medesime speranze che tenevano legata alle profondità marine l'esistenza di un mitico antenato, Glauco, che sulla sponda del mare di Antedone, spendeva la vita a buttare reti fra le acque. Più di altri, era stato Ovidio, a cavallo fra il XIII e il XIV libro delle sue Metamorfosi, ad accendere la fantasia dello scrittore del Novecento: il Glauco ovidiano aveva visto, in modo del tutto casuale, trasformarsi radicalmente la sua natura e il suo destino di mortale, ritrovandosi novus incola ponti (met. 13,904), dal respiro immortale.
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