Frammenti da zone soggette a videosorveglianza
Questa silloge poetica tenta di ridurre ai minimi termini l'invasività dell'io lirico in quanto portatore di bisogni e istanze personali. Per operare questa riduzione, l'autore è partito da un artificio letterario: ha immaginato un occhio freddo, lucido, razionale che osservi la realtà senza parteciparvi, l'occhio delle apparecchiature di videosorveglianza. Ha cercato un oggetto di investigazione, un topos (nel nostro caso, Pisa) per l'autore affettivamente neutro e visionato centinaia di inquadrature da Google Street per selezionare immagini e situazioni riprese delle videocamere di sorveglianza della città. Su queste ha costruito un paesaggio urbano che non ha nulla della cartolina: i luoghi scelti sono per lo più anonimi o poco turistici, a parte pochissime eccezioni raccolte da una prospettiva laterale e sghemba. La città finisce per somigliare a qualsiasi altra città occidentale in cui l'elemento umano, visto da questo occhio meccanico inserito in un'ottica temporale diversa dalla nostra, è proprio quello che più si mostra con caratteri di transitorietà e non necessità. Il libro comprende anche la sezione "Serie di fermo-immagini", che conferma l'intenzione di costruire un'estetica dello sguardo inquadrando, con tecnica simile a quella fotografica, istantanee di vita, conservando e congelando l'attimo di una visione in movimento in dato permanente e statico. "Paesaggio cittadino e paesaggio interiore fanno frizione fra di loro attraverso un uso pagliaranesco della rima e le sequenze, che nella sezione finale si confinano all'interno dei passaggi domestici, ci immergono in un'impietosa, ma mai algida e tanto più graffiante, fotografia della nostra oramai mutante umanità". (Cetta Petrollo) - "Si sfinisce e si installa una nuova lingua con questa poesia: la lingua delle videosorveglianza, lingua che distrae dall'assenza e all'assenza torna come linguaggio, che si ripensa continuamente al presente con pulsioni intellettive molto forti, ma mai preponderanti o programmatiche, che sembrano avere come obiettivo quello di far fare all'immagine (con la lingua) quello che la lingua non riesce a fare all'immagine". (Lidia Riviello)
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