Un viaggio

Un viaggio

C'è stato un tempo in cui nelle case si recapitavano notizie di morte. C'è stato un tempo in cui la gente veniva schedata in base alle proprie origini: ad alcuni era consentito vivere, ad altri no. A coloro cui, per il momento, era concesso sopravvivere, era proibito tutto. Non potevano praticare una professione, frequentare una scuola pubblica, impiegarsi in un ruolo al servizio dello Stato, esercitare alcuna influenza in politica, nella scuola o nell'industria. Un cerchio si stringeva loro intorno, opaco e ferreo. Poi, per tutti, un lungo viaggio. H.G. Adler era fra questi. Il viaggio lo portò da Theresienstadt ad Auschwitz, dove la moglie e la madre furono uccise. Poi verso i lager di Niederorschel e di Langenstein-Zwieberge, dal quale, il 13 aprile 1945, fu liberato. Anni dopo, quando già viveva a Londra, Adler decise di attribuire a quegli anni grigi una lingua che potesse corrispondere alla quotidianità del terrore. Una lingua in cui ogni segno e accento è un'immagine, prosciugata dall'indicazione esplicita degli aguzzini e delle vittime così come dei luoghi, e le modalità dell'orrore; nella quale la vicenda della famiglia Lustig è calata in uno spazio e in un tempo mai direttamente riferiti alla Shoah e in cui, dietro il nome simbolico di Ruhenthal, si cela il ghetto di Theresienstadt. Accostato alle opere di James Joyce e di Virginia Woolf, "Un viaggio", definito dall'autore una ballata, è una vera e propria rivelazione letteraria. Ed è un romanzo nel quale dilaga, innominato e per questo più lacerante e assurdo, lo stupore per un'appartenenza, un'identità, una coscienza di sé e della propria umanità prima cancellate e poi faticosamente ricostituite, rifondate: per lacerti, per frammenti, per scampoli. Opera fondamentale, dimenticata per decenni tra gli scaffali di librerie di seconda mano nonostante l'incondizionata ammirazione di chi la lesse, da Elias Canetti a Heinrich Böll, Un viaggio rappresenta non la restituzione ma la restaurazione della memoria attraverso il fluire di una coscienza che invoca il linguaggio, e lo stile, a sostegno e forma mentis di uno dei testi più sconvolgenti, lirici e innovativi della letteratura del Novecento.
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