La città delle parole che parlano
C'era una volta... ed ecco lupi e streghe, maghi e cacciatori, re e regine, cappuccetti rossi e pesciolini d'oro raccontare alla nostra infanzia quello che non c'è più. E mentre con voce dolce la nonna intrattiene i nipotini, le parole, fiaba dopo fiaba, a forza di ripetersi perdono significato, e tornano a farsi suono. E se gli eroi fossero invece popoli bambini in felice stato d'in/fanzia, cittadini, cioè di un universo non ancora parlato? E se, insomma, il linguaggio tutto nascesse dal suono del loro stupore mentre se ne vanno a zonzo nel paesaggio delle cose? Abbandonati i lupi e le streghe sarà questa allora la favola che la nonna decide di raccontare: «la storia dei nomi che affiorano ancora inconclusi nel rumore delle voci, il loro divenire nome», in un mondo che è figlio delle parole che lo indicano. Comincia a disegnarsi così una piccola genesi, fantastica e umoristica insieme, che narra della Creatura allevata dal popolo delle api e cacciata dal giardino terrestre; del popolo del deserto che abbandona il deserto e si innamora dell'acqua; del popolo delle foreste che s'inalbera al di là del tetto di foglie e scopre segrete altitudini, del popolo del ghiaccio che si lascia sterminare dal fuoco, del popolo delle voci che trovano un corpo che non avevano mai cercato... Storie a cui prestare orecchio - ammonisce la nonna - liberando i suoni prigionieri del senso comune per tornare insieme a un'infanzia del linguaggio, felici e contenti di incapricciarsi «dei giochi del dire».
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