Le meraviglie di Parigi
"Le meraviglie di Parigi" non è il preludio al resto dell'opera verniana perché questo o quel passaggio assomiglino ad altre sue opere. Quello che si trova qui di anticipatorio rispetto al Verne più conosciuto è la forza dello stile, anche con i difetti e le goffaggini a cui siamo affezionati. Si trova quell'amore per l'elencazione (d'istituzioni pubbliche, poeti, scrittori, musicisti,..) che annuncia le liste zoologiche dei "Viaggi straordinari", che forse da bambini saltavamo, perdendoci le loro qualità poetiche. L'ironia, il senso dell'umorismo sono presenti in dosi generose e felici: e si trova soprattutto la capacità di aprire la realtà del suo tempo e far intravedere il sogno. La lettura di "Le meraviglie di Parigi", opera di gioventù e autobiografica - Jules Verne, in quegli anni, per mantenere la famiglia lavorava presso l'ufficio cambi della Borsa di Parigi - ci prova che il primo Verne, come il suo Michel Dufrénoy che scrive versi e s'arrabatta in cerca di editori in un mondo che lo spaventa, ha una visione tragica delle relazioni umane, di una società dove, con l'eccezione di pochi amici, ci sì trova tremendamente soli. Verne è pessimista già a ventisette anni, e questa cupezza ora ci appare, sottotraccia, lungo tutte le sue opere, venata di quella fantastica ironia che scuote il lettore e lo costringe a gettare uno sguardo lucido sul mondo che lo circonda.
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