La vita del teatro del match
La pratica della box, raccontata nei suoi ambienti marginali, in una Barcellona popolare degli anni '90 del secolo scorso, è solo il pretesto per parlare dei rapporti interpersonali a tutto tondo. Spiccano, con particolare risalto, le dinamiche familiari lette e interpretate dall'esponente dell'ultima generazione, José, protagonista e voce di una narrazione colloquiale e riflessiva, quella di chi, presumibilmente adulto, rivede le vicende della propria famiglia. La prospettiva del figlio che racconta è illuminata da una visione benevola che si esprime nel costante tentativo di riunificare, mediare, comprendere. Sono vicende che parlano di tenacia e tradimenti, di amore e conflitti, di miseria e di saggezza: tessere di un puzzle da comporre con pervicacia, cercando la giusta chiave di lettura, la visione più opportuna. La box è quella chiave di lettura: qui è adottata per spiegare il rapporto tra l'individuo e il suo destino. La visione che restituisce una più chiara comprensione dei conflitti e delle dinamiche, spesso contorte, si avvale di un punto di vista retrospettivo ed esterno: lo stesso dell'arbitro che sa dirigere il mach perché ha visto tanti mach e ha imparato a dare senso alle regole che disciplinano ogni incontro. Quello alla comprensione e all'inclusione sembra essere l'invito più alto che Condorelli intende rivolgere ai personaggi del romanzo per mezzo del protagonista narratore che, proprio nell'epilogo, esorta un guardare dall'alto per "scrutare l'anima del mondo".
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