Senza arte nè parte
Si legge con piacere e momenti di puro divertimento questo piccolo libro di Francesco Savorgnan. Ma non fatevi ingannare dalla svagatezza del titolo o dalla irresistibile trovata finale della litania, più o meno garbata, di rifiuto alla pubblicazione da parte delle case editrici. C'è altro, oltre la risata, dietro questo libretto autobiografico, surreale come un quadro di Chagall. A cominciare dalla trama che, per l'andamento rapsodico dei capitoli, c'è e non c'è: figlio di diplomatici, viaggiatore suo malgrado per tutta l'infanzia e la giovinezza, Francesco riapproda a Roma, sua città di origine, senza "arte né parte" appunto. Sradicato com'è, fatica all'inizio a trovare un suo equilibrio: la fortuna lo aiuta nel campo degli affetti ma non nel mondo del lavoro. Rinunciando ad una collocazione stabile si mette a fare di tutto: dal traslocatore all'interprete, oltre ad una serie di altri improbabili lavoretti saltuari che gli consentono, però, di fare gli incontri più strani e di vivere le più strampalate situazioni. Memorabili, fra gli altri, il trasloco per Italo Calvino, la partita a tennis con Giorgio Bassani e l'irresistibile episodio delle scarpe ritrovate. Ma è proprio nella condizione di marginalità, in parte voluta, in parte subita dal protagonista che risiede il sottile fascino del lbro. Infatti, da questo suo essere "fuori" (fuori arte, fuori parte) scaturisce un punto di osservazione stravagante ma anche privilegiato che permette all'autore di vedere e, in certi momenti di smascherare, con divertito disincanto, storture e conformismi della nostra società borghese.
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