Prigione rosa (La)

Prigione rosa (La)

Villa Barabino, Genova, la "prigione rosa": qui si rifugiano, lontano dalla famiglia di origine, una donna e sua figlia appena nata. La buona borghesia ebraica di Roma, di cui fanno parte, non potrebbe capire. Sono gli anni Venti del Novecento e Flora Vitale ha avuto Luciana da un uomo "libero", Alceste Della Seta, che non vorrà mai sposarla perché "ha sposato il Partito Socialista". Anche lui ebreo, lontano parente di Flora. A raccontare la storia struggente di una donna coraggiosa e libera è la nipote Eva Schwarzwald, che ha vissuto in prima persona le lotte delle donne, il femminismo, i percorsi difficili delle madri d'oggi. Ed è una vera e propria genealogia femminile quella che si ricostruisce nella narrazione: sono infatti le memorie della madre Luciana, sono le lettere di Flora, le foto, le cartoline scoperte durante un trasloco a determinare nell'autrice l'urgenza di ricercare le proprie radici esistenziali nella storia di famiglia. Dove alla libertà ulteriore delle donne si associa sempre e comunque lo spirito di giustizia degli uomini, dal bisnonno garibaldino al nonno socialista. Nel riconoscere la propria appartenenza a un gruppo familiare Eva si ritrova, quindi, nella storia delle donne che l'hanno preceduta: coraggiose, consapevoli, attente ai valori profondi di un'ebraicità che non è religione ma piuttosto rispetto dell'altro, passione per il riconoscimento dei diritti fondamentali degli uomini e delle donne, ricerca di una memoria comune.
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