A modo mio. La tragica parabola di Sid Vicious
Eroinomane, alcolizzato, miserabile, violento, vanitoso, senza talento musicale e presunto omicida. Sid Vicious, bassista dei Sex Pistols, è stato questo. Ma non solo. Fu anche intelligente, ironico, carismatico, brillante, oltre che un innovatore straordinario delle mode e una delle poche personalità in grado di rappresentare un’intera epoca. Non a caso è oggi una vera e propria icona universalmente riconosciuta. La catena al collo, i capelli a istrice, l’immancabile chiodo e il caratteristico ghigno continuano, dopo più di quarant’anni, a essere copiati, imitati e rappresentati ovunque. Il 2 febbraio 1979, un’overdose d’eroina segnava la fine di una vita umana e l’inizio di un mito. Dietro il personaggio pubblico, però, c’è un mosaico molto più difficile da comprendere e interpretare. La storia dell’inetto che aveva trasformato una finzione rock in una vita patetica e drammatica, come raccontarono i quotidiani dell’epoca, è solo un lato della vicenda. Troppo facile archiviare Vicious come un fumetto sanguinario del punk: la storia è più complicata, più complessa e, soprattutto, più interessante. In quel sacco destinato all’obitorio, c’era non tanto il cadavere della tormentata star del punk quanto quello di un ragazzo inglese di 21 anni dalle molte identità e dalle altrettante contraddizioni. Questo libro racconta la tragica parabola di Simon John Ritchie, uno spilungone che un tempo rideva di tutto e di tutti. Come in un docufilm, attraverso una voce narrante, le testimonianze di chi lo ha conosciuto e i documenti della polizia, ricostruisce, passo dopo passo, l’intera storia della leggenda del punk.