La musica dell'assenza. 31 generi tradizionali, perduti, ritrovati
Chalga, fado, lavarti, rebetiko, morna... Sono musiche che abbiamo a malapena sentito nominare. In realtà nascondono mondi incredibilmente variegati, microcosmi esistenziali dove l'umanità trova il suo più ampio respiro. Non hanno nulla a che vedere con l'universo mainstream, ma proprio per questo conservano caratteristiche uniche, perfettamente in linea con il concetto di musica pura e incontaminata. Molte di esse sono figlie della sofferenza e dell'emarginazione e riguardano figure leggendarie che hanno segnato percorsi storici epocali. I musicisti ra'f, per esempio, patiscono il dominio dei colonizzatori francesi (e poi quello degli integralisti); quelli csangó non si sono ancora liberati dall'ansia di far parte di un paese che è e non è il loro. La musica che abbiamo ascoltato fino a oggi potrebbe non essere quella che meglio mette a fuoco la nostra quotidianità. L'alternativa, allora, può essere quella ricamata da uno strumento che non abbiamo mai ascoltato, come lo shamisen giapponese, la cobza moldava o lo zither austriaco. Contrariamente a quanto si creda, queste musiche non sono morte, ma vive e vegete, e in certi casi addirittura in espansione. La musica dell'assenza, titolo preso dallo scritto introduttivo di Vinicio Capossela, le va a cercare in ogni angolo di mondo raccontandone la storia, l'evoluzione, gli esponenti principali e gli strumenti più rappresentativi, svelando come dietro ogni canzone ci sia una lezione sociale e morale.
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