Miti e culti tebani nella poesia di Pindaro
Come la tradizione manoscritta testimonia, tra i carmi di Pindaro furono gli epinici a godere di maggior fortuna, e tale vantaggio perdura anche negli studi moderni. Eppure i frammenti degli inni, dei peani, dei ditirambi sono una miniera preziosa da cui trarre tradizioni mitiche e allusioni a culti. Anche grazie al sussidio di testimonianze di diversa natura, letterarie e non letterarie, coeve e non coeve, si può capire un'ode pindarica non soltanto come prodotto letterario, ma anche come espressione del proprio tempo e crogiuolo di molteplici significati mitico-religiosi, politici, storici e sociali. Il mito narrato è sempre pertinente all'occasione rituale di esecuzione: così il mito unito al rito diventa un binomio inscindibile, una mescolanza ben amalgamata nella quale i singoli ingredienti si fondono. Questo tipo di ricerca è lo scopo precipuo del presente lavoro, che intende individuare ed analizzare il legame tra Pindaro e i miti e i culti tebani: il poeta da un lato si pone nel solco della vulgata mitologica, ma dall'altro riserva sorprese nella selezione e presenta varianti nella trattazione di miti di tradizione consolidata, grazie soprattutto ai poeti precedenti e alla tragedia attica coeva. Il volume risulta articolato in cinque capitoli, ognuno dei quali fa capo ad un personaggio, eroe o dio, costitutivo della "mitologia tebana".
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