Quel che restò di una città
Vi immaginate se improvvisamente la vostra città non esistesse più e al suo posto restasse un luogo indefinito e lercio, maleodorante di gas, discarica di un luogo superiore, abitato da gente disperata che, per vivere, produce un misterioso unguento? Immaginate dunque la popolazione privata di ogni liberà sotto il giogo di un regime militare imposto da un individuo losco, don Giacomino, l'intruglio come unico cibo, un'epidemia di tosse che non lascia scampo, il mare usato come cimitero. Questo è lo scenario di una improbabile città come Bari rappresentato nell'ultimo romanzo dello scrittore, commediografo e giornalista Antonio Rossano. Un'unica persona sta a testimoniare questo inferno, la voce narrante di questo libro, che tiene un diario segreto per spiegare com'è nato tutto, per interrogarsi sull'ignoto piano superiore che ha ridotto la popolazione ad una non vita, annullando desideri e speranze per il futuro. Questo libro, dietro la sua veste di fantasia, che lo rende apparentemente ingenuo, è soprattutto un racconto sofferto e coinvolgente: tramite alcune riflessioni profonde sulla condizione di abbrutimento riesce addirittura a riportare alla mente le esperienze tragiche di Anna Frank o di Primo Levi. Solo il finale a sorpresa riuscirà a sciogliere la tensione e la partecipazione emotiva: attraverso un insegnamento sul valore morale dell'arte e della cultura si affaccia un barlume di speranza.
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