Il grande imbroglio
Il turbolento eroe di questo libro, Robert Reynaud, dopo aver trascorso qualche mese nel carcere di Fresnes per essere stato il "bonario" protettore di Ginette, torna a occuparsi delle sue attività, cioè a non far nulla o, più precisamente, ad ascoltare un po' di musica, a interrogarsi sull'importanza del denaro, a sedurre la prima venuta, a stabilire e frantumare legami qualsiasi. Per un po' se ne va a New York, dietro a Nancy che lo chiama "French boy", ma dopo sei mesi, scaduto il visto, eccolo rispedito al mittente. E poi Eva, Ella, Omphale, Geneviève, la vita che scorre, e infine lui, Robert, solo con se stesso, con la sigaretta in bocca e il cuore in sciopero. "Se questo libro ci insegna qualcosa sulla nostra ingannevole esistenza" scrisse Henry Miller "è che non c'è molta differenza fra la vita dentro una prigione e quella all'esterno. Nessuna delle persone che fanno parte della grande macchina è libera. O la rottura o la morte - non c'è altra scelta. E, prima di fuggire, bisogna bere l'amaro calice fino all'ultima goccia". Apparso nel 1952, il romanzo più ambizioso di Gaston Criel ha disegnato un affresco di quella realtà chiaroscura che fu la Parigi della prima metà del Novecento, la Parigi scannata, sporca, persa tra piccole ebbrezze e ansiosa di colmare un vuoto sempre in agguato, di ingannare, a sua volta, il grande imbroglio della vita.
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