Antonio Donghi 1897-1963
Un'opera esaustiva su Antonio Donghi, artista riscoperto in anni recenti grazie a mostre e diverse iniziative dopo anni di silenzio sulla sua opera. Si riporta così alla luce una personalità che stupisce per l'originalità della sintesi fra elementi apparentemente opposti, per la cocciuta fedeltà a un mondo dal quale ha saputo trarre motivi così inediti, per le raffinate qualità tonali di una pittura smaltata, dalle strutture meditate, tanto nitide da diventare enigmatiche. Donghi è stato per molto tempo un artista per molto tempo sottovalutato e la cui risonanza internazionale ha, come spesso accade, anticipato le sue fortune in Italia. Quella di Donghi è una pittura dalle molte, sottili, possibili letture. Emergono la capacità e la volontà di portare il realismo oltre i suoi limiti, per superare la realtà, per trasfigurarla e ricercare nella sua banale perfezione, ciò che essa cela. Le immagini nella precisione dei contorni e del dettaglio superano il tempo e restano sospese in una immobilità e nitidezza incontaminata e incontaminabile. Figurazioni che sorridono di se stesse, interpretando una satira di situazioni, atteggiamenti e posture, che sembrano riproporsi, immodificabili, nell'eterno fluire della vita di Roma. È un occhio che riflette un costante distacco, il rapporto con la realtà ha necessità di disporsi in un ordine chiuso. Forse perché la sua vicenda umana porta i segni di difficili esperienze giovanili: la separazione dei genitori, la vita di collegio, la durezza della guerra. La sua ancora di salvezza è la pittura, accuratamente avvolta in un involucro capace di renderla impermeabile ai sentimenti. Chi ha conosciuto Donghi lo ricorda come un eccentrico "di aspetto antitragico", un individuo solitario flemmatico, ferocemente parsimonioso, innamorato delle donne, ma scapolo, forse timido, ma caustico, appassionato di cinema.
Momentaneamente non ordinabile