Piove a Mosca

Piove a Mosca

"Se un leone potesse parlare, non potremmo capirlo". Attorno a questa citazione di Wittgenstein si costruisce una bizzarra saga familiare che rimette in discussione tutti gli elementi che solitamente caratterizzano il genere. La prima e più evidente caratteristica dirompente: l'intera vicenda si svolge in poco più di 100 pagine. Inoltre, il narratore è reticente a narrare la propria storia e quindi viene affiancato da animali e piante, che spesso fanno il verso e si fanno beffe dei narratori onniscienti delle grandi saghe del '900. La prospettiva di questi insoliti narratori, non così antropomorfi come ci si aspetterebbe, riempie quindi i vuoi lasciati dai silenzi del protagonista della vicenda: István Beczásy che all'età di 97 anni decide di dettare le sue memorie alla nipote, Zsuzsa Selyem. È così che il lettore si trova a percorrere con un'inaspettata leggerezza e attraverso la cinica ironia dell'autrice, alcune buie pagine della storia dell'Europa dell'est. Ascoltiamo racconti di prigionia e di tortura che sembrano lasciare il segno più sul lettore che sui protagonisti della vicenda. Memoria e finzione si mescolano in una commistione commovente e spassosa al tempo stesso. Un racconto bizzarro con radici ben piantate nella storia ma che a partire da una dimensione post-umana suggerisce vie inedite per una nuova antropocene. Un piccolo gioiello confezionato ad arte grazie alla sapienza narrativa della scrittrice, al suo esordio con questo breve romanzo.
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