Aritmetica di Cupido. Matematica e letteratura (L')
Un mondo governato dai matematici: questo sembra vagheggiare Platone nel libro settimo della Repubblica. La storia, però, non ha dato seguito a quel suo autorevole suggerimento: ci sono stati, è vero, politici di estrazione matematica, oppure tentativi più o meno riusciti di socialismo «scientifico». Ma nel complesso l'utopia di uno stato matematico è rimasta tale. Non così in letteratura: i classici ci propongono infatti esempi di società matematiche, come l'isola del terzo viaggio di Gulliver, sperduta non in mezzo al mare, ma tra le nuvole, come del resto i cervelli dei suoi distrattissimi abitanti, persi nell'empireo delle speculazioni astratte. In genere tra gli scrittori «matematica» è spesso sinonimo di rigidità, predeterminazione soffocante e disumana contro cui ribellarsi. Osserva per esempio Dostoevskij che la vita è «pur sempre la vita, e non solo una radice quadrata». Eppure anche in letteratura - in Borges, Carroll, Musil, Queneau e moltissimi altri - emerge un'altra immagine di matematica, che è invece gusto del paradosso e dell'aforisma, libertà da ogni schema, fantasia di inventarne di nuovi, levità e giocosità: quella che Italo Calvino definisce nelle sue Lezioni americane la «leggerezza della pensosità» e Thomas Mann chiama in Altezza Reale un «gioco dell'aria». E di queste matematiche esotiche e variegate che il libro tratta, presentandole così come ce le dipingono i riferimenti letterari.
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