Candido ovvero l'ottimismo
Come definire il "Candido"? Qual è il senso delle farsesche disavventure che vedono il giovane idealista scacciato dal castello dove è cresciuto, arruolato a forza, fustigato dall'Inquisizione, uccidere i due amanti della sua amata Cunegonda e inseguirla per mezzo mondo fino a ritrovarla avvizzita e invecchiata e sposarla più per onore che per amore? Una critica beffarda dell'ottimismo paternalista della religione scardinato dalla casualità del male e dalla sopraffazione come regola unica del mondo? Di certo, le domande che pone "Candido" attraversano intatte i secoli e il mutare delle società. Come e dove cercare la felicità? Se la filosofia non ci aiuta, se la vanità dell'arte e del bello nemmeno, se la fiducia nel bene supremo è violata da tutte le sciagure del mondo, come trovare la salvezza? Forse nel lavoro, perché "allontana da noi tre mali: la noia, il vizio e il bisogno". In fondo, dopo aver conosciuto tutti i mali della vita, l'unica certezza, come conclude Candido, è "che bisogna coltivare il proprio giardino".
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