Here comes the sun. Il viaggio spirituale e musicale di George Harrison
Dopo lo scioglimento del quartetto di Liverpool, l'esperienza e la maturità raggiunti portano George Harrison a un nuovo equilibrio artistico, prima come solista, poi come produttore discografico e cinematografico. Il ritratto che progressivamente emerge dalla biografia che Joshua M. Greene dedica al più giovane dei Fab Four è quello di un personaggio dalla doppia anima. L'aspetto musicale è il più noto: fino al 1970 ha un nome, The Beatles, attraversa eventi mediatici che lasciano il segno e successi discografici senza precedenti, cantati e suonati ancora oggi dal mondo intero. Il secondo aspetto di cui ci parla Greene - che costituisce la parte più ampia del libro - è quello spirituale, privato, legato alla meditazione induista, alla pratica dello yoga e alla ricerca del sacro. Queste due anime corrono parallele nella vita di George Harrison e arrivano a intrecciarsi. Nel 1965, quando viene folgorato dal sitar di Ravi Shankar, il suo mondo non sarà più lo stesso. E anche la sua musica ne risentirà profondamente. Questo mutamento ha un peso e un'influenza determinante nella produzione artistica con i Beatles, che giungerà poi a maturazione nel 1971, nei suoi album da solista: "All Things Must Pass" e "The Concert for Bangla Desh". Malato di cancro, il 29 novembre 2001 prende la morte per mano nella convinzione che "è solo il corpo che cambia. L'anima è la stessa alla nascita e alla morte".