Irripetibili. Le grandi stagioni del fumetto italiano
Oggi che fumetto è considerato sinonimo di romanzo, si dimentica che nel periodo compreso tra la nascita di Diabolik (1962) e l'affermarsi di Dylan Dog (1999) la narrativa disegnata assolveva già questa funzione tra l'indifferenza dei media e l'ammirazione silenziosa di tantissimi lettori. Bastava andare in edicola e comprare una qualsiasi rivista per trovare autori oggi divenuti dei classici: Hugo Pratt, che raccontava come si poteva vivere un'altra storia e un'altra realtà; Magnus, che descriveva le trasformazioni della società di fronte alla globalizzazione; Bonvi, che metteva alla berlina le follie del militarismo in contemporanea col "Maggio francese"; Guido Crepax, che esplorava le psicopatologie quotidiane all'alba della rivoluzione sessuale; Andrea Pazienza, che metteva su carta il movimento del 77 e il riflusso degli Ottanta; Milo Manara, che mostrava le ipocrisie morali delle pubbliche virtù; Lorenzo Mattotti, che si immergeva nei fuochi dell'inconscio sui ritmi world music di Peter Gabriel. Con loro, un esercito di autori, editori, operatori del settore in un caotico cocktail di generosità personale, furbizia commerciale e cialtroneria editoriale, protagonisti di una rivoluzione narrativa e grafica che ha influenzato cinema, letteratura, televisione, moda. Una rivoluzione che permette oggi al fumetto e ai suoi autori di essere protagonisti consapevoli della scena culturale italiana e internazionale.