La speranza è un vizio privato. 1946. Gerardo Conforti e il caso Zanon
Gerardo Conforti è un contadino del Cilento, moro, alto un metro e ottanta, dal corpo ossuto e appuntito e gli occhi verde scuro. Ha il cosiddetto fisico del ruolo, di quelli che al cinema ottengono sempre la parte del protagonista, e nel paese si fa rispettare, non abbassa mai la testa, ed è capace di affondare il coltello nel fianco di un cinghiale. Il 17 aprile del 1948 - alla vigilia delle prime elezioni repubblicane - nella trattoria affollata di Paolino Pescatore riceve una telefonata che gli cambia la vita, e quando riaggancia l'apparecchio nessuno parla più. Un mese dopo è su un treno per Milano, intenzionato a fare chiarezza sulla morte di suo padre Attilio, partito militare e mai tornato, il corpo rinvenuto nel Naviglio della Martesana, deceduto - affermano - per annegamento. In una città in piena ricostruzione, Gerardo Conforti avvia un'indagine privata, come la speranza di ognuno, partendo dal solo indizio in suo possesso, l'Albergo Popolare di via San Paraggio. Ma la questione personale sembra legata a un brutale omicidio accaduto due anni prima, celebre alle cronache del tempo e maturato negli ambienti dei piccoli commercianti meridionali di Porta Venezia: la strage compiuta da Marianna Zanon, che ha ucciso la moglie e i tre figli del suo amante. Gerardo si convincerà, battendo più piste, che quella sera la donna non fosse sola in quell'appartamento, e che, scovando il suo complice, arriverà in qualche modo all'assassino di suo padre.