Centodieci minuti, una vita. La parabola di Zinédine Zidane
Il 7 maggio aveva dato l'addio al pubblico di Madrid, giocando come un dio del pallone, e quando la gente grida il suo nome piange come un bambino. Eppure il 17 è già in ritiro con quella Nazionale che aveva abbandonato e a cui è ritornato. Va in campo e l'ultima partita si trasforma sempre nella penultima. L'ultima recita è la finale dei Mondiali 2006: Berlino, stadio Olimpico, Italia-Francia. Quella partita, così emblematica, diventa il filo conduttore, unità di tempo e di spazio, per ripercorrere gli ultimi quattro mesi di Zizou e la sua strabiliante camera. Dentro quei 110 minuti c'è tutto: il rigore calciato e segnato con il cucchiaio, il capitano che riordina la squadra, l'artista del pallone che mette alle corde Cannavaro e Gattuso, il colpo di testa che cerca il gol, come nella finale del '98, la testata a Materazzi che mette la parola fine a una carriera. Epopea di uno dei più grandi numeri 10 della storia del calcio che sfila a testa bassa verso gli spogliatoi passando a pochi centimetri da quella Coppa del Mondo che poteva alzare per la seconda volta, - e che non ricompare nemmeno al momento della premiazione. La medaglia d'argento lui non la vuole. Epopea di un'icona del calcio tra sport e letteratura, un feuilleton nella tradizione dei grandi scrittori francesi.
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